"Questo dinosauro rosso, con una rigida e lunga coda bianca, sorge ormai terribilmente sopra la pianura." Aldo Rossi
Si tratta di un intervento di grande dimensione a cui prendono parte il fratello M. Aymonino, A. De’Rossi e S. Messarè.
Il comune di Milano assieme alla società proprietaria del suolo, stabilisce, in sede di convenzione, un indice standard di 2.400 abitanti con 169.000 mc di area edificabile da destinare ad abitazioni.
Già dal planivolumetrico predisposto dal comune le prime idee sono indirizzate ad un insieme volumetricamente definito da elementi diversi. Nell’impostazione di lavoro, Aymonino ha ignorato il territorio e i rapporti con l’intorno in quanto area priva di suggerimenti, specialmente dal punto di vista naturale. L'insediamento Gallaratese non può quindi aspirare ad essere una vera e propria città a causa del suo carattere pressoché monofunzionale.
Il progetto finale ha per cui accentuato il distacco dall’intorno, cercando di elaborare un piano ben più compatto. Si sviluppa così l’idea di una costruzione, composta da cinque corpi di fabbrica, articolata e compatta allo stesso tempo, con altezze e profondità diverse.
Il Gallaratese va ad inserirsi nella poetica del frammentismo perseguita da Aymonino nel corso degli anni Sessanta, da cui la presenza di elementi come i riquadri in vetrocemento degli appartamenti duplex ed i volumi cilindrici dei collegamenti verticali che stabiliscono dei punti di riferimento per il controllo dell'immagine d'insieme degli edifici.
Aymonino con questo piano rompe la tradizionale concezione dell’edificio privato in quanto non ha progettato dei semplici appartamenti, ma li ha completati con dei servizi di loro pertinenza e con spazi aggiuntivi inseguendo l'idea di una città complessa e tumultuosa. Il Gallaratese diventa rapidamente modello di riferimento disciplinare sia sul piano linguistico che figurale per la possibilità di interferire sui processi aggregativi della residenza periferica portandoli ad una riconoscibilità urbana.
Immagine tratta da: Piazze d'Italia: Carlo Aymonino, Progettare gli spazi aperti, Electa, Milano, 1988 (pag. 39)
La piazza con il teatro all'aperto
Immagine tratta da: Piazze d'Italia: Carlo Aymonino, Progettare gli spazi aperti, Electa, Milano, 1988 (pag. 44-45)
Schizzi di studio
Immagine tratta da: Piazze d'Italia: Carlo Aymonino, Progettare gli spazi aperti, Electa, Milano, 1988 (pag. 43)
Il piano terra distributivo
Complesso abitativo "Monte Amiata" Quartiere Gallaratese, Milano (1967-1972) piazza e teatro all'aperto
Complesso abitativo "Monte Amiata" Quartiere Gallaratese, Milano (1967-1972) veduta dell'edificio B
Complesso abitativo "Monte Amiata" Quartiere Gallaratese, Milano (1967-1972) prospetto dell'edificio B
4 commenti:
Il Monte Amiata é la dimostrazione di quanto l'architettura sia lontana dalla realtà e troppo spesso bella solo in teoria.
ho abitato da sempre in quel complesso: i negozi non sono mai stati aperti, il teatro all'aperto sarà stato utilizzato due volte.
Non è facile progettare l'Architettura mantenendo la consapevolezza che prima di tutto si lavora per la vita, per l'uomo e per migliorare il suo rapporto con gli esseri e con la natura in genere. Il successo di un luogo, di un edificio lo si misura principalmente con l'uso che la gente ne fa.
"La realtà più vera e segreta di un edificio non sta nella scatola muraria, ma ciò che questa contiene, nello spazio, elemento organico e vissuto dell'architettura" (B. Zevi). L'architettura è come la musica, entrambe sono accumunate da una particolarità: creano degli spazi che influenzano i comportamenti delle persone. Di diverso dall'architettura la musica ha che quando tace sparisce, l'architettura evidentemente resta e continua a influenzare il nostro modo di lavorare e di vivere. Quando Aymonino ha progettato il complesso abitativo, ha incominciato dagli spazi necessari all'uomo che li deve vivere. Le mura alla fine sono solo gli elementi necessari a trattenere questi luoghi. Aymonino, come tutti noi, sa che fare l'architetto significa essere consapevoli che l'architettura influenza in modo forte la vita psicofisica dell'individuo e delle comunità; vuol dire essere consapevoli del grande ruolo di sintesi che l'architettura ha e deve nei confronti della filosofia, della poesia, delle arti e del vivere bene.
abito al monte amiata da circa 9 anni, 2 anni lato cilea e 7 anni lato falck, io e la mia compagna non riusciamo ad immaginarci altro posto dove vivere, certo fosse un paio di chilometri più vicino al centro e invece di bosco in città ci fosse il mare, le cose andrebbero ancora meglio, è vero i negozi sono chiusi e l'anfiteatro non viene usato, però incontri l'idraulico nel portico e gli dici che ti perde il rubinetto, lui passa a prendere le chiavi dal portinaio e alla sera è già a posto, poi c'è chi ti dà da mangiare ai gatti se vai via un weekend, e d'estate ti bagna pure le piante, in nessun altro condominio ti senti a tuo agio a camminare a piedi nudi quando vai a prendere gli amici all'ascensore, se il gatto ha voglia di farsi un giro gli apri la porta, poi c'è sempre qualcuno che ti suona il campanello per avvisarti che è tornato, e in nessun altro posto le "sciure" si sentono tranquille a portare il cane a fare un giro alle due di notte, quanto all'architettura a me piace farmi le passeggiate e ci sono ancora dei posti dove un po' mi perdo o scopro un particolare nuovo, magari solo perchè a quella determinata ora il sole proietta un'ombra colorata che non avevo ancora visto.
w il monte amiata e w alicudi suo segreto modello.
ciao
vincenzo
Bravissima Ilenia e Vincenzo, pezzi molto poetici i vostri.
Aymonino l'ho conosciuto come mio professore e cosi' come il suo aspetto e il suo lavoro, e le intenzioni dietro esso ci fanno capire, era una persona che voleva bene alla vita ed alla gente.
Non sapevo che Alicudi ne fosse stata un'ispirazione. Di certo, la composizione di Villa Adriana, vista dall'alto, e' esattamente il modello scelto. Guardatene la pianta, incluso l'anfiteatro.
Non giudichiamo il progetto perche' alcune occasioni non si sono materializzate. Cio' e' tipico di questi interventi. L'architettura e' solo un pezzettino dell'organismo citta' e di infiniti enti. Se l'architettura inizia la danza ma gli altri non le tendono una mano, essa rimane ballerina solitaria e nostalgica, che si guarda la propria ombra riflettendo su quel che sarebbe potuto essere.
Mancava un'arteria, un collegamento di linfa all'organismo citta'. Sono orfani questi interventi isolati e lontani, satelliti del nulla e nel nulla e la colpa non e' dell'ottimista padre.
A parte il rigido e freddo braccio di Rossi, questa e' veramente un bellissima composizione. A volte le idee meritano di essere anche se la realta' sara' sempre molto deludente rispetto ad esse.
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